Teatro Greco | Siracusa. Davide Livermore e il suo Agamennone, dramma del doppio in forma di concerto
Siracusa. Con maniere ornate e impeccabili, infiamma, sconvolge, gela. È Livermore che al Teatro Greco fa sfoggio delle sue scelte registiche per la messa in scena di Agamennone, nell’ultima replica secca del 5 luglio per la 57esima stagione organizzata dalla Fondazione Inda. “Avere la straordinaria occasione di dirigere l’Agamennone di Eschilo – ha affermato Livermore – significa accogliere la sfida di partire dall’archetipo per porre le premesse che, in maniera “irrefrenabile”, verranno sviluppate negli altri due drammi della trilogia. In quanto archetipo, l’Agamennone eschileo corrisponde alla definizione stessa di “classico”: qualcosa che è esemplare sin dal momento della sua creazione, ma sempre vibrante ed estremamente attuale, motivo per cui va restituito in tutta la sua possanza e forza con un lavoro di altissima filologia”.
Nella rappresentazione siracusana con la nuova traduzione di Walter Lapini, la tragedia di Eschilo – la prima dell’Orestea che insieme a Coefere e Eumenidi consta della sola trilogia che il Teatro Greco ci abbia consegnato – si apre davanti alla facciata dell’immenso palazzo degli Atridi, in Argo. Si tratta di un luogo che le scenografie di Davide Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi restituiscono come una somma parete a specchio larga 27 metri e lunga 8, dotata di una struttura circolare dai neri contorni che si ripete anche al centro del palcoscenico. All’ interno di questi due tondi si susseguono una carrellata di immagini, l’obiettivo stringe sul volo di farfalle libere col loro batter d’ali per poi lasciarsi attraversare da saette e fulmini, dalle onde e dalla bianca schiuma del mare, da uccelli in volo che tanto riportano alla cinematografia di Hitchcock, fino alla più estesa immensità di minuscole stelle perdute nel cosmo. E quel cerchio di fuoco che dal centro del palazzo grigio fissa lo spettatore, si trasformerà in un grande cavo oculare, prendendo le sembianze dell’occhio infiammato di Cassandra nell’esercizio dei suoi poteri di veggenza. Le scene studiate da Rainaldi e Livermore sembrano volutamente scomposte e frammentarie. A completamento troviamo un grammofono – ricorrente nelle rappresentazioni della stagione – uno scrittoio, un tavolino rotondo con calici e coppe, divani in stile Chesterfield e due pianoforti più una struttura a corde vicina alla meccanica scoperta di un pianoforte a muro.
La musica domina prepotentemente la scena. Una partitura sofisticata e intellettuale accompagna la rappresentazione principiando da un inquietante ostinato che rimbomba per tutta la cavea. Il silenzio è cosa rara, sopraffatto da un drammatico mix di suoni e rumori. Le sublimi note provenienti dai pianoforti sono eseguite dal vivo dei Maestri Diego Mingolla e Stefania Visalli. Entrambi ci regalano un ricchissimo tappeto sonoro fatto di inflessioni che vanno dal madrigale al pop, da Bach fino al contemporaneo e all’atonale. E mentre il M° Mingolla è chiamato a mantenere l’eterea costanza dei suoni, Il M° Stefania Vanni lavora su due postazioni e viaggia tra i tasti bianco e neri e quella meccanica nuda che fa parte della scenografia e da cui, con massima eleganza, trae fuori quanto di più metallico, inquieto e gelido uno strumento possa offrire.
Il dramma. La notte è il tempo dell’attesa. Argo freme per l’arrivo della fiaccola accesa che annuncerà la presa di Troia, quel bagliore di fuoco che fa da sfondo e che è costante cromatica di tutto lo spettacolo, migrando dal rosso, all’arancio al porpora. Sono passati dieci anni da quando Agamennone e altri mortali nemici di Priamo partirono da quella terra con una flotta di mille navi. Ce lo ricordano quelle barchette di carta sparse in ogni dove. Al risuonare delle parole di Agamennone, si materializza l’immagine della nota maschera funebre dalle sue sembianze in lamina d’oro. Ha gli occhi chiusi, presagio di una fine che non tarderà. La buona nuova è giunta. È tempo di dare il benvenuto all’uomo che con la zappa di Zeus giustiziere ha serrato Troia, “ne ha rivoltato il suolo, distrutti gli altari e i templi, estirpando anche l’ultimo seme di quella genia”. Il re di Argo, che con carisma e presenza Sax Nicosia incarna perfettamente, sta tornando a casa dove lo aspetta Clitennestra. Scorrono immagini che hanno del vintage. Agamennone viene giù da un aereo come fosse un presidente americano. Ma non è solo. Con lui c’è Cassandra, trofeo e concubina, una Linda Gennari impetuosa e di esplosivo talento, pronta ad assecondare quella forza altra che la possiede, e a lei si lascerà andare per compiere la profezia. Troveranno la morte dentro la reggia che li attende, un posto dai contorni di clinica o casa di riposo in cui dal principio si aggirano gli anziani su sedie a rotelle – Tonino Bellomo, Edoardo Lombardo, Massimo Marchese – assistiti da tre infermiere – Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Valentina Virando – e da due medici in camice bianco – Marcello Gravina, Turi Moricca. È il coro, marziale e puntuale nei suoi interventi, guidato dall’ottima Corifea Gaia Aprea che gioca sui cromatismi della parola per restituirci quel grande turbinio di emozioni che trasfigura il suo personaggio e tesse le trame del dramma.
Un dramma che Livermore ha voluto in forma di concerto. Un dramma del doppio. Palese è, infatti, il duplicarsi di molti dei suoi elementi. L’imponente parete a specchio, sebbene in maniera distorta, riproduce non soltanto le sagome di chi calca il palcoscenico ma anche di parte del pubblico. Un’illusione più emozionale che ottica che rende protagonista lo spettatore, lo butta dentro l’azione gomito a gomito coi suoi protagonisti. Due sono i ledwall circolari, due cerchi di luce in cui prendono vita visioni, esplosioni cromatiche, atmosferiche e naturali. E quando appaiono Oreste (Giuseppe Fuscello), e Elettra (Margherita Vatti), la discendenza che vendicherà Agamennone, si sdoppia persino il tempo, presente e futuro. Due i pianisti ai due lati del palcoscenico. Due sono le Ifigenie molto bene interpretate da Carlotta Messina e Maria Chiara Signorello perché in fondo due sono i destini di Ifigenia, un destino presunto da defunta sacrificata per mano paterna e un destino reale che la vede tratta in salvo da Artemide e condotta in Tauride. Quella figlia ugualmente strappata a Clitennestra, qui grandemente interpretata da Laura Marinoni che dentro un elegantissimo e morbido abito rosso reincarna tutti i molteplici aspetti di quella personalità, l’ardente sensualità, il dolore materno, la gelosia cieca e vendicativa nei riguardi dello sposo che cova con l’aiuto di Stefano Santospago, un credibile Egisto, fermissimo e audace nell’interpretazione del cugino e nemico di Agamennone, colui che siederà su quel trono per sette anni. Livermore arma Egisto di pistola e e lascia che infierisca su quel corpo ormai senza vita, a conclamare spudorata la complicità con l’amante e sposa uxoricida. Bravissima Olivia Manescalchi nei panni del messaggero. Eccezionale, imponente l’interpretazione di Maria Grazia Solano, la sentinella. È sua la voce che accende gli spettatori durante i saluti al dramma e che intona “Glory Box” dei Portishead. La platea si colora delle piccole torce smartphone, un ondeggiare di luci e corpi e tutti, attori e spettatori, si muovono a tempo di musica. Prendono vita quelle immagini riflesse sulla parete di specchi, fino a quel momento sagome distorte di un pubblico osservatore. E 5000 persone stringono e abbracciano in musica le quasi venti del cast, un miracolo che chiamiamo Teatro.
“Giustizia ama l’innocenza e sdegna il potere del ricco, le falsità dell’adulatore.
Giustizia porta ogni vicenda alla logica conclusione”.
FOTO MICHELE PANTANO
Nel cast Sax Nicosia (Agamennone), Laura Marinoni (Clitennestra), Stefano Santospago (Egisto), Linda Gennari (Cassandra), Maria Grazia Solano (Sentinella), Olivia Manescalchi (Messaggero), Gaia Aprea (Corifea), Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando (coro), Carlotta Messina e Maria Chiara Signorello (Ifigenia), Margherita Vatti (Elettra), Giuseppe Fusciello (Oreste), Diego Mingolla e Stefania Visalli (pianisti). Le scene sono di Livermore e Lorenzo Russo Rainaldi, i costumi di Gianluca Falaschi, le musiche di Mario Conte, il disegno luci di Antonio Castro, regista assistente è Giancarlo Judica Cordiglia, costumista assistente Anna Missaglia, seconda assistente alla regia Aurora Trovatello.