Il Duo Ashkenazy incanta il Vittorio Emanuele
di Marta Cutugno
Nella prima sera di giugno, il Duo Ashkenazy incanta il pubblico di Messina: la leggenda vivente del pianismo internazionale Vladimir David Ashkenazy ed il figlio Vovka fermano il tempo tra i numerosi spettatori del primo teatro cittadino. Messaggeri di questa raffinata magia di suoni, due Steinway & Sons forniti dalla Alfonsi Pianoforti di Roma.
Il programma, abbracciando il periodo che va dal primo Romanticismo alla prima decade del Novecento, è stato occasione di generoso approfondimento sul rapporto che intercorre tra musica colta e musica popolare. Pur apprezzando e riconoscendo coerenza interna alle opere proposte, una parte del pubblico – per dovere di cronaca – ha sperato fino all’ultimo di poter ascoltare un’esecuzione chopiniana di Vladimir solista come fuori programma.
Apre il concerto il Divertissement à la hongroise in sol min. D. 818 op. 54, composto da Schubert nell’autunno del 1824, al rientro da un soggiorno presso il castello degli Esterhàzy a Zseliz, nei cui tre tempi trovano spazio la vivacità popolare unita alla sensibilità e all’estro compositivo schubertiano. Palpabile dai primissimi accenti, l’immensa e potente personalità di Ashkenazy padre: la lucida introspezione ed il tocco di velluto, colti dall’ascolto delle sue registrazioni, giungono dal vivo e per la prima volta al vasto pubblico messinese.
Segue Moldau (La Moldava) da “Má vlast” – La mia patria, trascrizione per due pianoforti, di Smetana. Il Duo Ashkenazy accompagna nel meraviglioso viaggio fluviale del compositore boemo: il dolce e fluido zampillare delle sorgenti anticipa la prima esposizione del tema principale affidato alle mani di Vladimir; dalla caccia nei boschi alla festa di nozze dei contadini, fino all’impeto delle cascate ed all’arrivo trionfale a Praga, magnifica l’interpretazione e spiccata la simbiosi tra i due pianisti molto più che nel divertissement di Schubert che sembra appartenere meno alle corde di Vovka.
La ricostruzione delle atmosfere iberiche lontano da contaminazioni propriamente tematiche investe la Rapsodie espagnole di Ravel – composta per pianoforte nel 1908 ed orchestrata due anni dopo – eseguita, subito dopo l’intervallo, nella trascrizione dell’autore per due pianoforti. Qui Vovka riesce a raggiungere altissime vette interpretative dimostrando grande padronanza espressiva e sincera immersione nello stile raveliano: superbe la Malagueña e l’Habanera.
In chiusura, la Suite n. 1 op. 5 (Fantaisie-Tableaux) di Rachmaninov. Tra i quattro quadri musicali della suite, nell’esecuzione ashkenaziana, si distingue Les Larmes – Le lacrime, Largo di molto : i due interpreti ridipingono sonorità come lente ed incisive gocce instillate in chi ascolta.
Indiscutibile la perizia tecnica ed espressiva di Vovka Ashkenazy, stimato docente della prestigiosa Accademia Pianistica di Imola. Inarrivabile il padre Vladimir, classe 1937, che, con la leggerezza della perfezione a cui ci ha abituati, lascia correre le sue mani raccolte sulla tastiera con morbidezza di tocco e intenzione pura e spontanea di rendere ogni suono contenitore di corpo, di ragione, di storia. Interminabili gli applausi di fine concerto.