“Il barbiere di Siviglia”-Al Bellini di Catania domina il don Bartolo di Vincenzo Taormina
di Marta Cutugno
Catania, 28 novembre. Al Teatro Massimo Bellini di Catania, al via il recupero della stagione 2020 bloccata dalla pandemia. Si riparte da “Il barbiere di Siviglia”, melodramma buffo in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini. Grande emozione e forte desiderio di normalità si respirano in un teatro colmo di spettatori e al 100% della capienza.
Ispirata alla commedia “Barbier de Séville” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, l’opera buffa del pesarese fu composta in un tempo che oscilla tra i tredici e i venti giorni e fu presentata col titolo “Almaviva ossia l’inutile precauzione”. Il tentativo, peraltro notoriamente fallito, era quello di non urtare le sensibilità dei paisielliani, ancora molto legati al Barbiere composto da Giovanni Paisiello trent’anni prima. All’insuccesso del debutto segnato da versacci, fischi e insulti, seguì un grande consenso già dalla seconda replica dell’opera ancora oggi apprezzata ed applaudita in ogni parte del mondo. Senza dimenticare che, a nove giorni dalla prima di Barbiere, Rossini firmava già il contratto per un nuovo titolo da portare in palcoscenico l’anno successivo, “La Cenerentola”.
In scena fino al 3 dicembre, il Barbiere catanese non esplode già a partire dall’ouverture, eseguita a sipario aperto. Un telo nasconde le scene aprendo l’immaginazione sugli scorci delle vie di Siviglia col suo cielo blu del terminar della notte e poche luci alle finestre. Sollevato il velo, lo sguardo dello spettatore si affaccia sulla piazza deserta che presto verrà popolata da suonatori per la dolcissima serenata a Rosina. Si ergono palazzine con balconi e finestre e si scorge un’edicola votiva e un azulejo che, nel suo ornamento ceramico, rappresenta la corrida. E spostandosi dalla piazza all’interno della casa di Don Bartolo, il melodramma buffo manterrà come elemento caratteristico le splendide maioliche andaluse, a cornice di un unico ambiente aperto su cinque eleganti porte e arredato con scrittoio e ritratti degli avi alle pareti. Le tradizionali scene sono curate da Claudia Boasso che sceglie di dotare di ruote diversi elementi di arredo, introdotti sul palcoscenico da interpreti e comparse, tra questi il banco di Figaro dalle due teste di manichino rotanti. Adeguati appaiono i Costumi di Luisa Spinatelli (aiuto costumista Giovanna Giorgianni).
Il ritmo da vertigine e le grandi sfumature di colore dettati dalla partitura rossiniana incontrano le sonorità talvolta ovattate dell’orchestra del Bellini diretta dal M° Salvatore Percacciolo, orchestra che non riesce ad esplodere nei tumultuosi crescendo rossiniani in perenne divenire. Ad accompagnare molto bene i recitativi il M° Gaetano Costa al cembalo. Momenti di grande ironia si sciolgono nei due atti grazie alle scelte di Vittorio Borrelliche firma una regia accesa e sfiziosa: dal tiro a segno di Rosina mirando ai ritratti del salone, al cucchiaino di caffè che gioca le sue goccine tra don Bartolo e don Basilio, al napoletano messo in bocca al Conte d’Almaviva nei panni di don Alonso che distribuisce persino santini di San Gennaro, per finire ai ripetuti starnuti di Berta.
Figura cardine della vicenda è quella di Figaro, interpretato da Alberto Gazale al quale è facile riconoscere grandissime doti vocali ed espressive, qui però messe a servizio di un’interpretazione che a tratti appare costruita e poco fluida. A vestire i panni della giovane fanciulla scaltra e civettuola è Marina Comparato che, con la sua ottima presenza scenica, restituisce una Rosina fedele, credibile e innamorata di Lindoro/Conte d’Almaviva interpretato da Francesco Marsiglia. Cristian Saitta nel ruolo di don Basilio è estremamente efficace, preciso e sfoggia qualità vocali eccellenti. Uno dei momenti più alti ed esilaranti, sia dal punto di vista scenico che tecnico, è indubbiamente il duetto don Basilio/don Bartolo che vede Saitta e Taormina dialogare con superba perizia. Nel cast brilla sopra tutti Vincenzo Taormina che è interprete straordinario dell’anziano tutore. Convincente sotto ogni punto di vista, compie il suo ruolo in ogni singola movenza, in ogni gesto ed espressione del viso. Tecnicamente agile e perfettamente incollato al tappeto sonoro, Taormina ha ben rappresentato gli umori e le smanie di don Bartolo, incarnandone lo spirito, stabilendo una sottile e pertinente adiacenza tra il suo strumento vocale e le esigenze stabilite dalla scena, senza mai fare del vecchiotto che cerca moglie una mera caricatura. Molto bravo e calibrato Gianluca Failla nel doppio ruolo di Fiorello e dell’Ufficiale, precisi e inappuntabili i suoi interventi. A completare il cast Federica Foresta nei panni di Berta e Piero Leanza in quelli del servo Ambrogio. Ottimo il Coro del Teatro Bellini diretto dal M° Luigi Petrozziello, compagine sicura e puntuale ma certamente penalizzata nei volumi dall’impiego della mascherina in scena.
Foto di Giacomo Orlando