Gino Bonaviri, poeta e artista di Mineo che dilatò il mondo in verso
Mineo. Catania. È una mattina piena di neve del febbraio 1929. Donna Cecè è partita presto dal paese alla volta della città. Ha già quarantadue anni ed è incinta: va ad incontrare un ginecologo perché vuole interrompere la gravidanza in accordo col marito. “Magari può diventare un artista o uno scienziato” dice loro il medico scoraggiandoli e così tornano al paese in tre. Dopo qualche mese nasce Gino. Il giovane Bonaviri intraprende gli studi di medicina senza però portarli mai a compimento. Negli anni universitari si lascia travolgere dall’amore per le lettere, per la pittura e la fotografia. Non scienziato, dunque, ma sicuramente grande artista Gino Bonaviri, così come aveva profetizzato un dottore in una gelida mattina di febbraio.
“La felicità può essere semplice, limitata a poche cose essenziali”
Gino Bonaviri è stato prima di tutto un uomo della terra. Il suo personale universo era contenuto entro il perimetro dei suoi aranceti. Coltivarla quella terra, meditandone il mistero della semina, della crescita, della raccolta fu la sua prima vera forma d’arte. Un improvviso male, e la conseguente paralisi dall’età di 58 anni, lo costrinsero a rinunciare alle fatiche senza privarlo della gioia del fare. Bonaviri non subì gli eventi che lo investirono ma riuscì a sublimare quel tempo, ribaltando i limiti nel suo movimento in un vero e proprio viaggio attraverso le sue più grandi passioni. Imparò a dilatare il mondo in verso, sperimentando il privilegio della lentezza. Era momento di un nuovo coltivare e di diventare terra egli stesso. “Posso dire che mio padre è stato un poeta, un uomo che ha amato la bellezza e tutte le arti” scrive il figlio Fiodor. Scrittore, poeta, pittore, appassionato d’arte e di fotografia, estimatore di grandi autori primi far tutti Musil e Dostoevskij, Gino Bonaviri dedicò la vita alla pittura e alla scrittura, con la sua anima di fine e sentimentale osservatore del mondo. La sua giornata era scandita in tappe definite, la mattina era per leggere e scrivere, il pomeriggio era il tempo del dipingere. La produzione pittorica del Bonaviri ammonta a circa 900 lavori. Nessuna catalogazione ed una sua sola mostra che si è tenuta a Vizzini in una sala allestita dal Comune. Gino dipingeva prevalentemente ad olio su cartone. Non utilizzava tele perché il supporto cartonato per lui era molto più agevole e semplice da maneggiare.
Uno dei suoi dipinti è diventato la copertina di SERENI CIELI DI STELLE, un’antologia poetica postuma che contiene oltre cinquecento componimenti, raccolti dal figlio Fiodor ed editi da Opera Incerta Editore. Questi numerosi scritti si sono fatti spazio tra penna e carta negli anni di vita ritirata nella sua casa di Mineo, un piccolo centro situato sulle pendici Nord-occidentali dei Monti Iblei che aveva già dato i natali non solo a Luigi Capuana (1839-1915) – illustre esponente del verismo siciliano insieme al Verga – ma anche a Paolo Maura (1638-1711) e Croce Zimbone (1912-1998). Nell’introduzione all’antologia poetica a firma della prof.ssa Anna Zimbone si legge così : “Gino Bonaviri è un autore che, non indulgendo a nessuna moda né aderendo ad alcuna corsorteria, è riuscito, in modo discreto, a metterci a parte, attraverso i suoi versi, della sua intimità e del suo travaglio creativo”. Bonaviri non mirò mai alla pubblicazione dei suoi scritti. Fatta eccezione per qualche piccolo racconto o poesia in riferimento specifico ai contesti più vicini alla sua terra, nessuna raccolta andò alle stampe.
L’antologia poetica comprende sei raccolte di scritti che videro la luce tra gli anni sessanta e gli anni duemila. La prima sezione è manifesto di un Bonaviri poeta classico e moderno al tempo stesso. La maniera di Saffo guarda alla poetessa di Lesbo come a un modello: si tratta di liriche cristalline che restituiscono i contorni di quel mondo e delle sue passioni. “Così i lirici greci contribuiscono in un certo senso al processo evolutivo nella produzione di Bonaviri i cui versi esprimono un bisogno d’amore che è ansia di bellezza, di classica armonia, d luce ideale” scrive Anna Zimbone e aggiunge: “Lo Stato d’animo del poeta si riflette sovente nel paesaggio che fa da sfondo; la visione, realisticamente accennata, si amplia al caldo loro del sentimento”.
Una corona di fiori dona / Lesbia al suo antico amore – /è costume nell’isola di Tiro / donare rose e viole – l’amore / tenace ha la chioma morbida, / gli unguenti profumati, /il cuore ben saldo, anche /il verso ha la forma del cuore – / il serto è scivolato in basso, / Lesbia lo guarda dai vetri affumicati, /è nel verde che lo vede ondeggiare / come un riflesso di luce,/ vorrebbe ancora goderne, /sognando rimanda / alle gioie passate. (Alla maniera di Saffo – pag 32)
Bonaviri fu grande appassionato di musica classica e, dai racconti di Fiodor, sappiamo che strimpellava un pianoforte Petrof da autodidatta. La musica attraversa questi cinquecento poesie ed oltre in maniera profonda ed accesa. La primissima parola del primo verso dell’intera antologia è liuto, un liuto d’argento nelle dita di Saffo. Nelle pagine che seguono si scoprono pian piano sezioni chiamate Improvvisi, Notturni, Preludi, Scherzi e Studi. Alzo gli occhi alla libreria e le partiture di Chopin che richiamano quei titoli sono tutte davanti a me, una dietro l’altra col blu oltremare della copertina. L’eco chopiniano nell’intreccio dei versi è fittissimo. Molti sono i riferimenti ai suoni che nei versi del Bonaviri trovano spazio e, tra questi, non manca quello della voce, strumento del sussurro. È possibile incontrare satiri che accordano strumenti “con le zampe forcute”, “violini vagabondi” uniti alle grandi formazioni, nello “splendore che fa pensare all’orchestra in procinto di suonare e senza volerlo ci si abbandona all’ascolto”.
La luce è mancata di colpo / la stanza è caduta nel buio, /non si scopre una chiazza di luce – /la radio ha interrotto /i chiari morivi di Schumann / eseguiti da Gilel’s […] (Improvvisi – pag 70)
La poesia di Bonaviri è lieve, dai motivi trasparenti. Nel correre dei versi si spiega una grande ricchezza di immagini, celebrando tutto o quasi del mondo che ci avvolge e circonda. Il giorno “piegato su se stesso” che “dorme rintanato in fasce d’argento” (pag 295) è celebrato nelle infinitesimali piccolissime sue parti, nelle esplosioni naturali di sentieri con gli ulivi mossi dal vento, con i colombi in volo ed i suoi fiori nelle loro più splendide forme. Il mattino ed il sorgere, il meriggio, la sera e la notte, con le sue immancabili stelle, prendono vita come fossero fatti di materia impastata a sentimento. La forma del giorno è detta poliedrica.
Un’alba rosata ride all’angolo/ della casa, a guardarla mi fa / pensare ad una pace riflessa,/ alle mille cose che ho dimenticato / di dirti con le parole più belle. (Improvvisi – pag 69)
Un mattino medianico vola leggero / Come un velo di seta, le pagine / Ne colgono l’odore d’incenso […] (Improvvisi – pag. 66)
È toccato al meriggio di sognare / in questa luce di luglio dove / il cipresso al lato si alza dritto / e il mare confonde le sue acque[…] / anche in quest’ora si può cogliere / il bene a cui tende la gente, prudenza, temperanza, giustizia, fortezza. (Studi – pag 326)
La sera si piega / in curve violacee / che il vento tinge / di pallide luci – / come un grosso limone / la luna nascente / si sospende nel vuoto – / è gialla l’ombra che percorre la piana –/ l’orizzonte una riga infinita. (Improvvisi pag 77)
A far da cornice alle parole scelte dal Bonaviri, le bellezze del creato ed il muovere quotidiano delle cose e delle persone, “sussulti d’uccelli” (citato spesso è il volo dei gabbiani), o il “piagnucoloso motore che si nasconde a fior d’acqua” che restituisce la fotografia del rumore di una barca che si sposta sulla distesa d’acqua. Temi carissimi al poeta sono il mare, il tempo e la luna, che appesa a un filo dondola sulla campagna, che “corre sospesa nel vento” o che si presenta “prigioniera delle brume dall’ultimo orizzonte”.
Stanotte la locandiera sarà la luna,/ con la voglia che la possiede / parole elette metterà sul mistero/ delle cose nascoste nell’ombra … (Scherzi – pag 291)
Non manca l’amore, celebrato come un rito, nel vortice delle stagioni o nello scandire delle ore del giorno e della notte. Bonaviri racconta di un amore pienamente grato alla vita, ai luoghi e agli affetti più cari che talvolta cita nei suoi versi.
[…] rami/ Spogli al viale fanno mostra / delle tenerezze follower cadute al suolo, / valve di conchiglie dimenticate per caso / costruiscono una corona ai dadi / coi quali giuoca Fiodòr felice. (Studi – pag 339).
L’amore si esplica in tutte le sue forme, canta il Creato e i viventi, si intreccia a tutti e cinque i sensi, coi profumi di cannella, con “la bellezza del tatto fuso alle cose nascoste”, non dimenticando la sacralità della carne coi suoi piaceri più intimi.
Il mattino è degli amici, / la sera è nostra, ecco / i dialoghi sublimi / delle nostre bocche,/ la buon maniera di specchiarci/ in riquadri argentati …(Scherzi – pag 210) . Amore di luna piena,/ desiderio di cose rare/ nella notte incomparabile … (Scherzi – pag 214)
Una scrittura delicata, dirompente, intimistica quella del Bonaviri, di Sicilia poeta che, con straordinaria e silenziosa eleganza, coltivò la capacità di modellare la parola per trasferire sulla carta il piacere di un istante soltanto e che merita di raggiungere nuovi lettori e nuove sensibilità.
[…] mi piace questo istante, /decido così di stare disteso –/ m’avvolge il fresco bucato,/ m’inebria l’odore dei libri,/ le pagine scorrono lievi, / sento più intenso il piacere / di leggere ancora. (Studi pag 352)