Frédéric Chopin: la Polonia, lo stile e le opere
di Marta Cutugno
L’Amata Polonia
La passione vitale per l’amata Polonia investiva Chopin totalmente: la lingua, le dolci pianure, i ritmi e le melodie. In lui sopraggiunse la consapevolezza che, per amarla e celebrarla appieno, unica cosa da fare fosse allontanarsi fisicamente, continuando a scrutarla da lontano. Le mazurche, le 17 polacche ed altre composizioni, fra cui la fantasia su arie polacche e il Krakoviak per pianoforte e orchestra, sono dedicate alla sua amatissima patria e da lei traggono ispirazione. Annoiato dalla vita dei salotti, mostrava finta pacatezza e calma all’esterno ma, dentro sé, malediva il momento in cui aveva deciso di partire da Varsavia e tra serate, concerti e sfoghi ipocondriaci con i suoi medici, trovava il tempo di trasferire i suoi disagi sul pianoforte che sembrava come colto da fulmini. Grandi malinconie lo stringevano, nel quotidiano e nelle ricorrenze, e difficilmente non percepiva quella solitudine anche in mezzo a tanta gente.
Una vigilia di Natale, dopo un pranzo a casa dei Bayer, suoi conoscenti polacchi, passeggiava lentamente verso la cattedrale di Santo Stefano, ed entrandovi si fece cullare da quel sacro silenzio:
“Dietro di me una tomba; sotto i miei piedi una tomba. Ne mancava solo una sopra la mia testa. Una lugubre armonia si sollevò in me … Più che mai sentii la mia solitudine”. Il mattino dopo “nacque il notturno in si bemolle minore, nel quale, alla fine, mi tornò tra le dita, ma non più furioso, solo doloroso, quel tale accordo che la scienza dell’armonia non sa spiegare. Non rinnego nulla di ciò che scrissi prima, e anche nei primi anni di Parigi non mi vergognai, per assecondare le richieste di certi editori, di resuscitare il vecchio Chopin, il pianista-compositore che si attaccava alla tradizione così come oggi, con questa nuova invenzione che sta sconvolgendo il mondo, si attacca al treno un vagone in più. Ma fu la disperazione senza sbocco… a permettermi di avere un cuore, di guardarci dentro, di cominciar a costruire un mondo nuovo”.
Lo stile compositivo
Chopin componeva rigorosamente al pianoforte: le improvvisazioni, le idee giungevano e si plasmavano a contatto con il suono, corpo di materia formata, fissata, cancellata, corretta, fino a rendere incomprensibili le partiture manoscritte; delizia e tormento nel tempo, accompagnata da una sonora tosse sempre più persistente e fastidiosa, che si aggravava con gli sbalzi di temperatura.
La sua musica è figlia dei salotti, luogo in cui, per la sconfinata leggerezza e per la grazia, trovava appropriata risonanza. La potenza emotiva, il carico sentimentale è tutto concentrato sull’immensa cantabilità che riporta inevitabilmente alla vocalità operistica e all’universo virtuosistico affine all’improvvisazione, arte in cui si espresse raramente. La prima caratteristica stilistica è, comunque, da ricercare nel suo patriottismo che sarà tratto distintivo. Stilisticamente le sue opere sono incentrate sulla costruzione melodica che trova accompagnamento in ampi arpeggi come trasposizione più fluida ed elaborata del tema. Cromatismi, appoggiature e ritardi uniti al gusto melanconico della melodia richiedono all’esecutore non soltanto solida tecnica e sensibile tocco ma anche perizia nell’uso dei pedali, e la capacità di far emergere espressivamente ogni elemento sia esso melodico, ritmico o dinamico. Assolutamente chopiniano è il caratteristico “rubato”. L’amico, compositore Schumann – al quale aveva dedicato la ballata op 38 dopo aver ricevuto in dedica i “Kreisleriana” – nel 1831 lo aveva appellato genio parlando delle Variazioni op 2 sul tema del Don Giovanni e riferendosi ai suoi due concerti aveva proferito: “le opere di Chopin sono cannoni nascosti sotto i fiori”. Lo stesso, criticamente, lo “accusava” anche di aver via via perduto quel gusto nazionale polacco delle prime opere che, passando per la Germania, si dirigeva verso il melodismo all’italiana. Uno dei maggiori pianisti e compositori dell’epoca, Kalkbrenner – che gli aveva procurato le prime lezioni private a Parigi ed era stato suo “padrino” al primo concerto alla Salle Pleyel – riconosceva in Chopin il tocco di Field e lo stile di Cramer; ugualmente Chopin restava estasiato dinanzi alla calma di Kalkbrenner, allo stregato tocco ed alla sublime padronanza di ogni suo singolo suono. Di altro indirizzo erano le considerazioni del maestro Witwicki che, spinto da estremi nazionalismo e panslavismo mistico, insisteva affinché Frédéric si dedicasse alla costruzione ed allo sviluppo dell’opera polacca. Chopin palesò sempre parecchio scetticismo sulla possibilità di diventare operista: restava visceralmente affascinato dal genere ma non propendeva per dedicarvisi come compositore.
Le opere
La massima parte delle composizioni di Chopin venne composta per pianoforte solista; tra le eccezioni vi sono i due concerti, quattro composizioni ( comprese le Variazioni su un tema dal Don Giovanni op. 2 e la Grande Polacca Brillante op. 22) per pianoforte e orchestra, e la Sonata op. 65 per pianoforte e violoncello.
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Ballate e Notturni
È sua la paternità della forma ballata strumentale come sue sono le sublimi innovazioni alla sonata per pianoforte, alla mazurca, al valzer, al notturno, alla polonaise, allo studio, all’improvviso, allo scherzo e al preludio. Le 4 Ballate si impongono quale spazio prediletto e creato su misura per appagare il desiderio espressivo di Chopin: un nuovo genere di ampie dimensioni che nella vorticosa mescolanza di richiami a strutture formali diverse, gioca perennemente su contrasti tematici ed espressivi. Tetri, intimi, sognanti, romantici e assorti, i 21 Notturni sono pura esaltazione lirica della melodia che si racconta tra le dita della mano destra sostenuta da accordi arpeggiati nell’ampia estensione della mano sinistra. Una forma, quella del notturno, ereditata da John Field e portata ad altissimi livelli espressivi, perlopiù in forma tripartita e con ricami ornamentali quali trilli, gruppetti, volatine ascendenti e discendenti.
Mazurche e Scherzi
Nelle sue 59 Mazurche palpita di vita la sua Polonia: la mazurca era danza nazionale semplice originaria della Mazovia, regione di Varsavia, affidata al suono della duda (cornamusa locale) che si abbandonava alla melodia accompagnata da un bordone di tonica o dominante. Le Mazurche chopiniane, composte tra il 1820 e il 1849, mantengono tratti caratteristici della danza polacca – formule melodico-ritmiche ostinatamente ripetute, cromatismi, uso del quarto grado aumentato, accenti sui tempi deboli delle battute, accordi privi di terza e detti “vuoti” – votati tuttavia ad un gusto ricercatamente più raffinato che riesce ad abbracciare stati d’animo agli antipodi, assoluta gioia o devastante malinconia. Le acrobazie ed il virtuosismo brillante dei 4 Scherzi presentano, in forma tripartita e ritmo ternario, l’impronta di componimenti di ampio respiro dai possenti contrasti tematici e dinamici. I 4 improvvisi ed i 19 valzer sono componimenti dai contorni musicalmente raffinati: in forma ABA tripartita, i primi, con sublimi code dall’apoteosi tematica, i secondi.
Gli Studi
Palesi le intenzioni didattiche dei 27 Studi, divisi in due raccolte op. 10 ed op. 25, ognuno dei quali si concentra su un aspetto problematico specifico ai fini di un adeguato e potente sviluppo tecnico, sonoro ed espressivo come il legato, lo staccato, il cantabile, la velocità, l’agilità delle dita, gli arpeggi rapidi e molti altri contenuti ed effetti necessari al perfetto pianista. Schumann erse gli studi chopiniani, insieme ai 24 Studien op. 70 di Moscheles (1825-26), a “studi-capolavoro” in quanto insieme a caratteri di natura strettamente tecnica, gli autori ne avevano curato “l’elemento fantastico“.
Chopin e Paganini
Due anni prima di iniziare la stesura degli Studi, Chopin aveva scritto “Souvenir de Paganini“, un piccolo pezzo in forma di variazioni, sul tema del Carnevale di Venezia, ispirato proprio dall’incontro con il violinista genovese.
“Paganini apparteneva ad un altro mondo. Lo ascoltai e gli fui presentato. Era magrissimo, brutto, stava sempre un po storto, come se dovesse tenere perennemente il Violino sotto il mento, le sue mani, anzi, i suoi lunghissimi artigli erano impressionanti. Ed era, stranamente, molto meticoloso, prendeva continuamente appunti su un quaderno dalla copertina rossa. Mi chiese di sillabargli il mio nome e lo annotò. Vidi sbirciando sopra la sua spalla, che aveva scritto “Chopin, giovane pianista”. Composi subito…”Souvenir de Paganini”… Ma un anno più tardi scrissi due studi, che furono poi i primi due della mia op.10, ispirati al violinismo paganiniano, il primo al rapidissimo balzellato sulle quattro corde, il secondo al moto perpetuo con i pizzicati della mano sinistra. E due anni dopo, con lo Scherzo op.20 e la Ballata op.23, entrai nel mondo stregato di cui Paganini mi aveva dato la chiave”.
I Preludi
Composti nelle ventiquattro tonalità maggiori e minori, i 24 Preludi di Chopin, pur ispirandosi al Clavicembalo ben temperato di Bach, esulano da intenzioni didattiche allo stato puro come era stato per il compositore di Bonn e in quanto forma, non precedono nessun altro brano, ma risultano autonomi acquisendo spesso altre strutture (scherzo, mazurca, notturno ecc). Scrisse Schumann nella “Neue Zeitschrift für Musik” (1839):
“…di Chopin dobbiamo ricordare una strana raccolta di Preludi. Confesso che li immaginavo diversi, condotti, come i suoi Studi, in uno stile grandioso. Ė invece quasi il contrario: sono schizzi, principi di studio, o, se si vuole, rovine, singole penne d’aquila, tutto disposto in modo selvaggio e alla rinfusa. Ma in ciascuno dei pezzi sta scritto, quasi in un raffinato ricamo di perle: “lo scrisse Chopin”; lo si riconosce nelle pause e nel respiro violento ed appassionato. Egli è e rimane lo spirito più ardito e fieramente altero del nostro tempo. Questo fascicolo comprende anche qualcosa di malato, di febbricitante e repulsivo; cerchi dunque ciascuno ciò che gli potrà giovare, è solo il filisteo ne rimanga lontano”.
Bibliografia:
Piero Rattalino “Chopin racconta Chopin”, Laterza 2011
Gastone Belotti, “Chopin”, EDT
Jaroslaw Iwaszkiewicz, “Chopin”, Edizioni Studio Tesi
Elvidio Surian, “Manuale di storia della musica”, Rugginenti 1991