Del volo di una vita in “Dora in avanti” di Domenico Loddo al Teatro dei 3 Mestieri
di Marta Cutugno
“… è una bambolina, si difende come può…”
Messina. Chi è Dora? Dora è figlia, moglie, madre, donna, bambolina e farfalla, che non sopporta il silenzio, le albe ed i tramonti. Creatura in lotta contro e per se stessa, che ride piangendo e piange ridendo. L’intenso monologo, che ha aperto la nuova stagione “Radici per restare” del Teatro dei 3 Mestieri, ruota attorno alla vita rugosa di questa donna ed è frutto della scrittura di Domenico Loddo, una produzione Teatro Primo.
In scena, Silvana Luppino che indossa dolori ed espressioni di Dora Kieslowsky. Come spiega al pubblico la protagonista, “Dora in avanti (o della cerchiatura del quadrato)” vuole essere spettacolo interattivo in cui due diverse dimensioni si instaurano in alternanza continua. La regia di Christian Maria Parisi, dunque, si muove così, nell’avvicendarsi perenne e ciclico del vivere e del favoleggiare, in aderenza a quella scienza delle soluzioni immaginarie, tanto menzionata nel testo, che è la patafisica.
La prima dimensione affonda il suo essere nel cortile dell’infanzia, teatro di oggetti che ricordano il passato e che compongono le scene curate da Valentina Sofi: un baule aperto a destra, l’altalena-simbolo al centro e due sculture in legno con fiori e farfalle di carta a sinistra. La seconda dimensione sposta la protagonista dalla prima persona, dalla scena all’approssimarsi alla platea, in stretta vicinanza col pubblico che ben risponde ai suoi interventi. In questo secondo spazio, Dora può osservare ed elaborare dall’esterno la sua vicenda con spirito critico maggiore, con ironia e sano cinismo. Completamente da sola, spostandosi da un perimetro all’altro, Silvana Luppino richiama lo sguardo, l’emozione e la risata dello spettatore col suo fare energico e, nel suo andare e venire, scolpisce malinconie, solitudini, rabbie e buffe constatazioni. Nel passaggio da un’entità all’altra, tuttavia, si avverte la presenza impercettibile di una discrepanza, uno scalino che costringe ad un salto e che interrompe, per qualche secondo, l’andamento unitario che lo scritto di Domenico Loddo avrebbe meritato. A creare la giusta amalgama ci pensa il gioco di luci studiato e proposto da Guillermo Laurin che risulta nettamente di maggiore interesse anche rispetto alle scene. Dal blu, al viola, alle intermittenze del verde, Laurin suggerisce un corretto flusso alla narrazione rinforzando i contenuti del testo, dalle macchie di Rorschach alla primissima rappresentazione della farfalla che abbraccia Dora sul fondo del palcoscenico fino a tutta la seconda parte, la più emozionale in corsa verso il finale, in cui la storia di Dora è supportata dalla proiezione di disegni originali di Loddo, non solo scrittore ed autore di testi teatrali ma anche fumettista.
Tanti i temi affrontati, primo fra tutti l’abbandono e la distanza, geografica ed emotiva; nell’alveo delle difficoltà relazionali, “Dora in avanti” si sofferma sul determinante legame padre-figlia, capace di segnare il presente e condizionare il futuro. Sulla bilancia delle riflessioni oscillano “il vuoto interiore grande come una galassia”, da un lato, e le presenze maschili attorno alla figura di Dora, dall’altro. L’unico punto fermo coincide con il ricordo della madre, una traccia, un abito in cui entrare e da cui uscire per sopravvivere. Tra le immagini che attraversano il monologo emerge quella del volo, che sia sognante quanto quello di una farfalla o che sia macabro come quello di un neonato da un ponte, una liberazione, in ogni caso. “La vita è una penetrazione” dice Dora, a conferma di quella latente certezza che si afferma nell’invisibile scorrere dello spettacolo: la capacità di vivere in pienezza d’essere tutti gli eventi che la vita stessa propone, cosi, senza riguardo.
Musica, dissolvenza, titoli di coda. Prossimo appuntamento al Teatro dei 3 Mestieri è “Shots”, liberamente ispirato dai racconti di Charles Bukovski di e con Francesco Bernava e Alice Sgroi, previsto per il 26-27 ottobre.