Casa Peloro ~ 50esimo dei GENS ~ intervista a Ettore Cardullo e Pino Salpietro
di Marta Cutugno
Messina. Countdown per il Capo Peloro Fest 2018, con i piedi che sentiamo già affondare nella sabbia della spiaggia libera sotto il Pilone. L’evento totalmente no profit e con ingresso libero è giunto alla sua quarta edizione mantenendo e potenziando i suoi obiettivi: l’arricchimento culturale del territorio partendo dalle arti che nutrono l’amore per il Bello, la valorizzazione territoriale e lo sviluppo economico per una sempre più massiccia affluenza alle attività proposte, la sensibilizzazione ed il rispetto dell’ambiente con puntuali interventi di cura delle aree interessate e l’installazione di zone attrezzate, la promozione delle attività sostenibili. Tante buone ragioni, motore per i volontari della Pro Loco Capo Peloro che non si risparmiano per la buona riuscita dell’evento. Tra musica, arte, cultura ed artigianato, durante il Fest verrà anche ricordato il cinquantesimo anniversario dalla formazione dei Gens alla presenza di alcuni dei suoi componenti: un dovuto riconoscimento per la storica band messinese in origine costituita da Filiberto Ricciardi (Me, 25 aprile 1949), Pippo Landro (5 gennaio 1949), Ettore Cardullo(17 luglio 1948), Gilberto Bruno ( 1949 – 1969) e Pino Salpietro (2 febbraio 1947).
Lunedì 30 luglio, presso Casa Peloro, Ettore Cardullo e Pino Salpietro ci hanno regalato una lunga serie di ricordi ed aneddoti alla presenza di fans, turisti e paesani, chiacchierando con me e con il direttore artistico del Capo Peloro Fest 2018, Nello Cutugno.
Da sinistra, in foto : Nello Cutugno, Marta Cutugno, Pino Salpietro, Ettore Cardullo.
Come nascono i Gens?
Ettore: In origine facevamo tutti parte di cinque diversi complessi. Al tempo proliferava il beat, passeggiare per strada significava ascoltare quel tu-tum ta-tam tu-tum ta-tam, ti spostavi di cinquanta metri e di nuovo tu-tum ta-tam. Ci conoscevamo già, i musicisti si incontravano spesso da Sanfilippo, il negozio di strumenti. Un giorno andai a cercare Pino sul posto di lavoro, era geometra in un cantiere. Ed iniziarono le prove rigorosamente a casa Salpietro, dapprima in terrazza poi in casa di una zia. Bastava azionare gli amplificatori per attirare tanta gente che di passaggio restava ad ascoltarci.
Che musica facevate al tempo? Ed in quali locali?
Pino: Quando all’epoca un disco usciva all’estero, impiegava almeno sei sette mesi per arrivare in Italia. Allora un nostro amico che viveva a Londra, selezionava i 45 giri e ce li spediva. Per cui avevamo un repertorio già famoso all’estero ma che qui non conosceva ancora nessuno. Penso ai pezzi dei Beatles o dei Four Tops. Si suonava al Ritrovo Granatari, a Mortelle, alla Macina quando ancora ci facevamo chiamare i Gians.
Dunque la band ha modificato il suo nome da Gians in Gens. Perché?
Pino: Perché per pubblicare il primo 45 giri “In fondo al viale” abbiamo scelto di attingere alla lingua Latina : Gens – Gente, sfruttando la somiglianza tra i due nomi e ritenendo che il pubblico non si sarebbe disorientato”
Ettore: “Culturalmente fu un passo avanti, molti critici apprezzarono, ma tatticamente no. Da un lato una parte del pubblico è rimasta ancorata al vecchio nome ed ha fatto fatica a riconoscerci, dall’altro la scelta di un nome latino ci ha penalizzato, è rimasto meno impresso, meno incisivo e banalmente molta gente ricorda le nostre canzoni ma non ci ricorda come Gens.
Si racconta che la svolta avvenne mentre eravate in trasferta a Roma per sistemare un amplificatore?
Ettore: È la verità. Durante una serata di luglio, si guastò il mio amplificatore, un Vox, uno di quelli che utilizzavano anche i Beatles. A Messina era impensabile risolvere il problema ed allora quella notte , io , Pino e Filiberto partimmo in macchina verso Roma. Arrivammo al mattino e per puro caso ci trovammo davanti al nostro amico Trimarchi, originario di Messina. La persona giusta al momento giusto. Dopo poche chiacchiere, lui raccontò che faceva l’autore e scriveva canzoni. Ci invitò ad andare in uno studio in centro a Roma. Nonostante avessimo fretta di rientrare a Messina per riprendere con le serate, decidemmo di raggiungerlo. Incontrammo rappresentanti di una casa discografica in fermento che era alla ricerca di nuovi artisti, ci portarono giù in sala registrazioni per una sorta di provino ed il consueto “vi faremo sapere”. In agosto arriva per raccomandata l’invito a “presentarsi presso gli studi RCA di via Tiburtina in Roma per la realizzazione di un 45 giri”. Non avevamo ancora un furgone, e portammo solo basso e chitarra, il resto lo trovammo li. Ci dissero che il nostro amico Salvatore Trimarchi aveva scritto un pezzo dal titolo “In fondo al viale”. Avevamo tutto un altro tipo di repertorio ma alla fine abbiamo inciso. Sul retro del 45 giri venne incisa “Laura dei giorni andati” con testo di Roberto Vecchioni. Prima apparizione televisiva fu in una trasmissione di Luciano Rispoli la cui messa in onda programmata fu rimandata di alcuni mesi perché coincidente con i collegamenti per lo sbarco sulla luna. Renzo Arbore ci presentò alla radio come “5 universitari messinesi destinati al successo”. Poi siamo stati invitati a partecipare al Cantagiro, 25 tappe e 25 luoghi e grandissimi nomi, da Celentano a Morandi, i Pooh, i Camaleonti, Mario Tessuto, i Dick Dick. Quella è stata la prima volta che abbiamo assaporato veramente il successo”.
Nel ‘69 la band subisce una grave perdita. Il chitarrista Gilberto Bruno muore in un incidente stradale dopo un concerto nei pressi di Brescia. Quanto è stato determinante questo evento?
Ettore: È stata la rottura nell’anima del gruppo. A parte la perdita di un amico, il gruppo ha perso il suo nucleo musicale. Gilberto era quello che suonava meglio, era il leader musicale, per il resto era persona schiva e riservata. Un mese prima dell’incidente avevamo partecipato al festival di Rieti e conosciuto altre band. In quella occasione Gilberto aveva stretto amicizia con il chitarrista dei Woo-Doo. Quando si diffuse la notizia della sua morte quello stesso ragazzo che è Mauro Culotta mi contattò e si propose come nuovo chitarrista. Subito dopo, la famosa cover “Per chi” con testo italiano di Pace che fece qualcosa come 500/600 mila copie.
Come guardate ai giovani che oggi vogliono emergere come band?
Pino: Purtroppo, oggi, l’aspetto commerciale caratterizza un po’ la questione, l’eccessivo desiderio di guadagnarci su, può limitare il piacere e la libertà di fare musica.
Ettore: A noi è andata bene anche se non siamo riusciti a gestire quello che è arrivato dopo il successo. Oggi mi piacerebbe chiedere alle nuove leve quali siano le aspirazioni, le speranze, il percorso, i sogni, gli obiettivi perché mi rendo conto di quanto le cose in questo tempo siano più difficili, non è più come una volta e bisogna trovare strade alternative. È un discorso forse un po’ cinico ma realista. Oggi ci sono giovani musicisti validissimi che hanno scelto un approccio serio, fatto di studio, che frequentano i conservatori. Se avessimo avuto anche noi una formazione di questo tipo sarebbe stato diverso.
Quale artista incontrato ha lasciato in voi una traccia, un ricordo indelebile ?
Ettore: in assoluto Pino Daniele.
Pino: i miei idoli sono Ray Charles, Eric Clapton ma degli artisti incontrati ricordo un batterista di grande bravura ed umiltà, il fratello di Tony Cicco.
Ettore: c’è un mondo nascosto dietro i grandi musicisti, un sottobosco di artisti incredibili, tra i tanti mi viene in mente il grande Massimo Luca, chitarrista di eccezionale valore e di assoluta umiltà.
Il nostro territorio è depresso su molti fronti, ed avvertiamo la necessità di creare occasioni come il Capo PeloroFest in cui gli artisti possano esibirsi dal vivo, cosa pensate a questo proposito?
Pino: Ca non ci voli a musica ca ci voli un miraculu (Qui non basta la musica, ci vorrebbe un miracolo).
Possiamo sperare di vedervi tutti insieme al completo per una reunion sul palcoscenico di una prossima edizione 2019 del Capo Peloro Fest ?
Ettore: Nella vita tutto è possibile.