Al Bellini, “Madama Butterfly” di G.Puccini, una tragedia giapponese
di Marta Cutugno
“Caro nostro e grande Maestro / la farfallina volerà: / ha l’ali sparse di polvere / con qualche goccia qua e là / gocce di sangue, gocce di pianto … / Vola, vola farfallina / a cui piangeva tanto il cuore: / e hai fatto piangere il tuo cantore … / Canta, canta farfallina / col tuo stridere di sogno / fievole come il sonno / soave come l’ombra / dolce come una tomba / all’ombra del bambù / a Nagasaki e a Cefù”. Giovanni Pascoli
Catania- 11 maggio. Secondo cast e seconda recita per “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini al Teatro Massimo Bellini; le repliche andranno in scena fino a venerdì 17 per un totale di sette appuntamenti.
Prima della pausa estiva, il Bellini offre in cartellone la tragedia giapponese in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, la prima pucciniana più incline al monodramma, causa la concentrazione esclusiva su un personaggio e non sulla consueta varietà di caratteri umani e psicologici. Storia racconta che il maestro di Torre del Lago, di passaggio a Londra per la prima inglese di “Tosca“, si trovò al Duke of York’s Theatre per assistere al dramma Madam Butterfly di David Belasco interpretato da Evelyn Millard. La pièce teatrale si ispirava al romanzo Madame Chrysanthème (1887) di Julien Viaud in arte Pierre Loti e narrava di un fatto realmente accaduto ma privo della drammatica chiusa suicida che Belasco introdusse e Puccini decise di mantenere. Travolto da quelle suggestioni, Puccini si documentò ampiamente sulle abitudini nipponiche, sui costumi e sulla tradizione popolare musicale di quel popolo approdando al pronunciato esotismo che troverà ultima applicazione nell’incompiuta Turandot. L’opera venne completata il 27 dicembre del 1903. Della prima scaligera del febbraio 1904 si ricorda il fiasco colossale caratterizzato da “grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate“, un insuccesso profetizzato da Arturo Toscanini che aveva così avvertito librettisti ed editore: “L’opera è troppo lunga e malsagomata, andrete al macello“. Nessuna demotivazione per Giacomo Puccini che si occupò immediatamente dei dovuti aggiustamenti e delle modifiche necessarie fino alla versione definitiva del 1920.
(foto della prima del 10 maggio)
La rappresentazione catanese della tragedia dell’attesa è incentrata principalmente sul tema del suicidio. Evidenti sono i richiami simbolici a tal proposito nelle scelte scenografiche e nella regia di Lino Privitera. La dicitura自殺 Jisatsu (suicidio), che i sei danzatori con zavorre trapezoidali sotto i piedi portano scritta sulla schiena, riappare spesso stampata su cartelli; le tantissime farfalle della prima scena volteggiano su vidiwall fino a comporre un pugnale; e prepotenti piume nere sono riflesse su telo durante l’intermezzo, presagio di morte. Anche la regia si muove in questa direzione accompagnando Butterfly al suo destino e, sulla passione, sul fuoco d’amore tra l’americano e la fanciulla, prevalgono l’attesa e la conseguente delusione. L’elegante struttura delle scenografie di Alfredo Corno, che bilancia colori chiari alla semioscurità del blu con effetti laminati e dorati, comprende pareti scorrevoli con fasci altissimi di canne di bambù, sagome di glicini e giganti fiori d’oro intagliati su tulle trasparente. Dalla collina di Nagasaki – che si presta allo sguardo dello spettatore soltanto idealmente, in quanto lo sfondo non accoglie mai prospettive paesaggistiche ma solo astrazioni cromatiche si ha accesso ad un ambiente domestico unico su pedana rialzata alla maniera delle abitazioni giapponesi, con mobilio in vimini e le classiche Shoji, i pannelli scorrevoli di carta di riso su telaio. I costumi curati dallo stesso Alfredo Corno sono di buon effetto, in perfetto stile e preziosi ma, alle volte, poco funzionali e poco agevoli per il movimento di protagonisti e coro.
Nello sciogliersi della messa in scena al Bellini, la musica assume un ruolo eccessivo e preponderante. Sul podio, il M° Gianna Fratta che aveva già affrontato la Madama Butterfly a Lecce ed a Spalato e che debutterà nella stagione prossima al Festival pucciniano di Torre del Lago con La fanciulla del West. I colori scelti per l’Orchestra del Teatro Bellini impongono volumi invadenti che non soltanto tendono a coprire le voci impedendo a parte della partitura vocale di venire fuori ma limitano anche lo spazio dinamico a disposizione. Superata una tiepida apertura del dramma pucciniano a cui Pascoli dedicò i versi de “La farfallina volerà” riportati sopra in apertura, le giuste atmosfere iniziano a propagarsi a partire dal delicato corteo delle amiche di Butterfly, qui interpretata da Eunhee Kim.
Il soprano sudcoreano può vantare buone doti ed è riuscita a mettere in atto una consona partecipazione al personaggio, alternando momenti di spiccato lirismo a parentesi meno significative. Poco incisivo è il Pinkerton di Alessandro Fanzoni il quale porta a termine il ruolo in maniera adeguata ma non perfettamente efficace. Tra le sezioni più ampiamente conosciute, il duetto d’amore della fine del primo atto, per antonomasia fulcro di passione tra il tenente della Marina U.S.A. e la giovanissima Cio Cio San, non esplode e non scuote dal punto di vista emozionale, restando in sordina. Il Goro di Enrico Zara è, in questa produzione, il carattere più giapponese tra i giapponesi: il tenore, che trova maggiore spazio vocale dopo un avvio prudente, realizza pienamente il personaggio in ogni sua minima espressione. Bravissima Ilaria Ribezzi nei panni della servente Suzuki la quale, della partitura pucciniana, restituisce appieno aderenza e padronanza vocale ed emotiva. Completano il cast Giovanni Guagliardo (Sharpless), Sabrina Messina (Kate Pinkerton), Gianluca Failla (Il principe Yamadori – L’ufficiale del registro), Francesco Palmieri (Lo zio bonzo), Salvo Di Salvo (Il commissario imperiale). Limpida e di effetto l’intera performance del Coro del Teatro Bellinidiretto dal M° Luigi Petrozziello: soave e sensibile, il coro a bocca chiusa rappresenta probabilmente il momento più alto della Butterfly catanese, attimi di poesia e di pacato sentimentalismo che si inscrivono in quell’esigenza meditativa ed intimistica che, nel complesso di questa messa in scena, può dirsi in parte latitante.
Giacomo Orlando Photographer