“Volevo essere brava” regia di Paride Acacia – “Il nostro corpo … il solo tutto che conosceremo mai”
di Marta Cutugno
“Il nostro corpo è il nostro paese… Il solo tutto che conosceremo mai”
Eppure lo consideriamo nemico. È oggetto di ossessioni – personali e trasversali – che lasciano poco spazio alla lucidità, annebbiano ed orientano verso quell’ideale di perfezione estetica che è il sogno americano. A ricordarcelo sono otto donne, sorelle di sangue, protagoniste di “Volevo essere brava!” per la regia di Paride Acaciaalla Sala Laudamo di Messina dal 4 al 6 marzo. Lo spettacolo è liberamente ispirato a “Il corpo giusto” di Eve Ensler e si concentra sulla patologica ossessione riguardo l’esteriore perfezione a qualsiasi costo, alimentata, spesso e pesantemente, dai condizionamenti di chi ci ha messo al mondo.
Eve Ensler è una drammaturga americana di origine ebraica, già autrice dei noti “Monologhi della vagina” del 1998. Bambina violata da abusi paterni e dal silenzio cosciente della madre, femmimista, attivista contro ogni tipo di violenza sulle donne, in questi anni di innumerevoli viaggi e di lotte in giro per il mondo, ha fatto correre pensieri e parole su un binario doppio: da un lato l’orrore dello stupro e di abominevoli pratiche ancora in uso nei paesi più poveri (mutilazioni, clitoridectomia, infibulazione); dall’altro lo smarrimento e la schiavitù da impeccabilità e da ritocchino nelle società che si dicono evolute.
“Volevo essere brava!” trova sintetica espressione in una delle battute del suo testo: “Io non andrò mai bene“. L’incazzato esercito delle post-mestruate passa il tempo in una Spa tra confessioni di vita privata, flessioni a gambe incrociate, allenamenti in cyclette e diete senza pietà, in una particolare ambientazione scenografica realizzata con scatole di cartone vestite di manifesti rock che inneggiano a Lou Reed, Nina Hagen e Sex Pistols, fonti cui si attinge per la colonna sonora. Siamo in compagnia di un gruppo eterogeneo di recidive con la smania dell’ineccepibile involucro, in crisi profonda, dinanzi lo specchio o su una bilancia, ognuna con il proprio fascio di insoddisfazioni. Eve che odia la sua pancia – “La dolce vaniglia illegale si scioglie dentro di me” – non è sola: con lei, Helen Brown (Milena Bartolone) la bionda palestrata direttrice di una rivista femminile, la morona in carne (Francesca Gambino) nemica numero uno delle “stronze magrissime”, la seducente portoricana (Laura Giannone) che danza allo specchio assillata dai rotoli sui fianchi, Tiffany (Elvira Ghirlanda) la moglie del chirurgo divenuta suo banco di esperimenti e ormai irriconoscibile persino a se stessa; Carol (Anna Musicò) la reduce dal restringimento della vagina che tanto conforto trova nel gruppo di autostima della vulva; Dana (Rita Lauro) la lesbica rebel-punk che vorrebbe mostrare i suoi piercing ai capezzoli; Nina(Giovanna Verdelli) la segretaria che intreccia una relazione con il compagno della madre e che, auto-punendosi, opta per la riduzione dei seni. Bravissime ed in adorabile sinergia tra loro tutte le attrici provenienti dalla Compagnia Teatrale Vaudeville: menzione speciale per Milena Bartolone e Francesca Gambino, detentrici di magnetica comunicativa.
Paride Acacia instaura una particolare rete dinamica attraverso un testo che scruta i caratteri, ne disegna limiti e possibilità e mantiene straordinariamente alta l’attenzione. Oltre l’intima ma visibile frustrazione di queste donne, il regista estrae abilmente dalle sue otto interpreti, coinvolte anche in aerobiche coreografie curate da Sarah Lanza, la bramosa fame di perfezione che le allontana dalla ragione e mai propina allo spettatore una realtà filtrata. Con un dire colorito e prorompente ironia mista a fugaci dolorose prese di coscienza, il regista scuce le maglie di una tutt’altro che superficiale tematica probabilmente non più tanto scottante come un decennio fa al tempo dell’uscita del testo ensleriano (2005) ma resistente alle evoluzioni sociali e, senza imporre soluzioni, ci ricorda come il più enorme problema del mondo odierno non stia poi in una mancata pancia piatta.
Eve ri-apre gli occhi e conclude: “Forse ciò di cui ho cercato di sbarazzarmi era la parte migliore di me”. In fondo, lei e le altre volevano solo essere brave.
“Diventare ‘brava’ è più difficile che diventare medico … o astronauta”.
Ultima replica oggi alle 18:00 Sala Laudamo, Messina