Comicità e Memoria: Camposanto Mon Amour di Paride Acacia al Vittorio Emanuele
di Marta Cutugno
“La malanova, se meritata, arriva sempre”
Notevole riscontro e meritatissimi applausi a scena aperta per Camposanto Mon Amour al Vittorio Emanuele. Ad un anno dal debutto al Teatro Savio, lo spettacolo, scritto e diretto da Paride Acacia e prodotto dalla compagnia Efrem Rock in collaborazione con la compagnia Vaudeville, torna al suo pubblico in una veste rinnovata, analizzando fragilità e timori dell’uomo dinanzi al trapasso. Dotata di un testo dalla sorprendente ironia e dai ritmi senza fiato, la pièce vanta la presenza di un cast bomba in affiatamento crescente: cinque strepitose interpreti che, alternando recitazione, canto e danza, non smettono di sorprendere per la coinvolgente naturalezza e la ferma presenza scenica. Le cassamortare Gabriella Cacia, Elvira Ghirlanda, Milena Bartolone e Francesca Gambino dominano la vicenda fino al sopraggiungere di Laura Giannone, un fantasma in monopattino e sottoveste bianca, voce antica e moderna della comune coscienza.
Nell’oscurità della notte tra l’1 ed il 2 novembre, stravaganti becchine lavorano insieme all’interno del cimitero comunale e si preparano al giorno della commemorazione dei defunti, occasione solenne (per qualcuno solo appuntamento annuale) per ricordare chi non è più tra noi. L’amara riflessione investe il ricordo di due personaggi: Giacomino Salenitro, esperto per mestiere del pianto democratico e senza discriminazioni, all’indirizzo di senatori, meretrici, casalinghe, preti, impiegati o ladri; e Martino Zolfo, noto attore deceduto e, dopo apparenti onori immediatamente successivi alla sua morte, ancora in attesa di degna sepoltura e dimenticato da tutti. Superstizione e magia bianca si intersecano ad una visione tristemente realistica del lutto vissuto come dolore incolore.
Il presagio funesto del fantasma – “tra poco staremo più stretti” – anticipa l’arrivo della pioggia che si abbatte violenta sulle montagne. Quelle gocce improvvise e catartiche sollevano dal torpore Saturnia/Baby Jane (Milena Bartolone), ex cantante ed attrice, becchina figlia d’arte, che da dodici anni ha fatto del Camposanto la sua casa: da lì non si allontana mai e spia Mercurio, il fioraio di Giampilieri di cui è innamorata. Saturnia si mostrerà immediatamente pronta a correre in soccorso dell’amato e della popolazione colpita dall’alluvione. Rinnovamento, iniziazione, apertura e ritorno alla vita scaturiscono e passano dalla tragedia e dal disastro geologico che ha colpito Giampilieri nel 2009.
La scenografia, a cura di Francesca Gambino, trova ampliamento rispetto al debutto: a sinistra c’è una cassa da morto adibita a camerino, rifugio di Saturnia, e a destra una scala, torre di controllo e affaccio sul mondo dei vivi ; alle spalle delle interpreti, in posizione centrale, si erge il grande cancello d’ingresso, prossima via di fuga ed, ai lati, le caratteristiche schiere di loculi.
Il dialogo, spedito ed irriverente, incrocia parole, musiche e canzoni inedite composte a quattro mani da Massimo Pino e Paride Acacia che così affermava un anno fa, intervistato da Carteggi Letterari, poco prima del debutto: “In Camposanto Mon Amour le sole parole risultavano insufficienti rispetto agli intenti. Le canzoni sottolineano e danno sostegno drammaturgico alla narrazione, sono parte integrante dello spettacolo, funzionali e strettamente collegate al testo … Pur appartenendo e sentendoci molto vicini all’universo rock, io e Massimo abbiamo spostato l’asse sul più lungimirante teatro-canzone, un racconto musicale, con colori e densità tutte popolari, che non disdegna flashes pop-rock”
La colonna sonora – eseguita dal vivo dalla band sul palco, con Massimo Pino alle chitarre, Peppe Pullia alla batteria e percussioni e Simona Vita al Piano e tastiere – è corpo unico ed originale, solidamente integrato al testo. Parole e musica affondano piacevolmente in un pop-rock popolare mescolato alle sonorità tipiche delle commedie di Garinei e Giovannini e senza mai risultare banali, amplificano azioni e significati così come le coreografie curate da Sarah Lanza.
Un tripudio di pura comicità e sentita, necessaria memoria.