Vittorio Emanuele: Oblivion od oblio?
di Marta Cutugno
Messina. Ieri 12 gennaio è ufficialmente partita la stagione musicale del Teatro Vittorio Emanuele. Al via, dunque, con gli “Oblivion: the human jukebox”, uno spettacolo messo in scena dal gruppo di artisti attualmente in tournée fino al 31 marzo 2019 anche con “La bibbia riveduta e corretta”. Si descrivono così gli Oblivion: “cinque miracolati dalla banda larga, i cinque punti del governo del cantare, i cinque anelli delle obliviadi, i cinque gradi di separazione fra Tito Schipa e Fabri Fibra, i cinque madrigalisti post-moderni”. Come loro fonti di ispirazione e loro Maestri individuano ed indicano Rodolfo De Angelis, Giorgio Gaber, i Monty Python ed il Quartetto Cetra. Spesso paragonati alla storica formazione attiva sin dagli anni quaranta e per quarant’anni, ne ripropongono di certo la freschezza e, figli del loro tempo, si accingono a porre le basi che, con ogni probabilità, permetteranno loro di raggiungere nel tempo le alte vette dei Cetra che, con la rivisitazione dei più grandi capolavori della letteratura e della musica operistica, hanno portato la grande cultura nelle case degli italiani. Renzo Arbore li definì “l’antidoto alla tv usa e getta“.
La struttura dello “human jukebox” degli Oblivion vuole, da subito, una partecipazione attiva del pubblico chiamato a scrivere su un biglietto il nome del proprio cantante preferito. Dall’estemporanea estrazione si apre un gioco di musica e teatro, di intrattenimento, cabaret e satira di costume. Molte le parodie offerte al pubblico messinese: i tre tenori de “Il Volo”, una Aspirina per “La cura” di Franco Battiato, “Generale” di Francesco De Gregori che fa satira politica, “Una zebra a pois” di Mina rivisitata in versione rapper alla Fabri Fibra, “Bohemian Rhapsody” dei Queen eseguita tra i testi di Gianni Morandi, ed una versione Gospel di Povia. Gli Oblivion sono indubbiamente un gruppo dalle notevolissime capacità vocali e dalle armonizzazioni di alto gusto. Non sono mancati momenti legati all’improvvisazione ed all’interazione con il pubblico in sala che ne ha potuto constatare un muoversi disinvolto ed aperto ed una vicinanza che li ha condotti tra la platea e la galleria come si può vedere in foto.
Ma il loro massimo è stato raggiunto nelle esecuzioni a cappella che in cinque minuti di orologio sintetizzano storicamente un evento o un genere. Lo hanno fatto in apertura con i sessantotto brani vincitori di tutte le edizioni di Sanremo in ordine cronologico e lo hanno fatto in chiusura con “School of Rock”, dai Pink Floyd a Santana, ai Metallica. Alla prima di ieri – ed oggi 13 gennaio si replica alle 17:30 – il pubblico presente in sala è rimasto piacevolmente colpito dallo spettacolo che, in assoluto, apre la nuova stagione musicale. A celebrarne l’inizio, l’atteso e fuori abbonamento Concerto Ashkenazy del 30 novembre ma, come si ricorda, una ridotta presenza di pubblico ne ha deluso le aspettative. Purtroppo cambia la musica – letteralmente, data la varietà nell’accostamento tra i generi – ma non sembrano cambiare le cose ed, anche in questa occasione, la partecipazione non può dirsi prorompente. Probabilmente, passare da Ashkenazy alla simpatia esilarante e colorita degli Oblivion, tra una parodia ed una improvvisazione dalle “tonalità ad minchiam” – testuali parole – potrebbe sembrare quantomeno, come dire, variegato ma nulla toglie alle mille espressioni dell’Arte. In tutti i casi, la prima ed opportuna riflessione sarebbe da orientare all’oblio, come da titolo, di quelle poltrone rimaste tristemente vuote, ancora una volta.