Clan Off: Alessio Bonaffini in “Kean” per la regia di Adriana Mangano
di Marta Cutugno
“[…] Domani, e poi domani, e poi domani…/[…] La vita è solo un’ombra che cammina, /un povero attorello sussiegoso /che si dimena sopra un palcoscenico / per il tempo assegnato alla sua parte, / e poi di lui nessuno udrà più nulla …” / Macbeth (Atto V, Scena V) – William Shakespeare
Messina. Al Clan Off, in questo secondo weekend di gennaio, ha fatto ritorno Edmund Kean con il genio e la sregolatezza celebrati nel sottotitolo dumasiano divenuto proverbiale e cristallizzati nel testo che Raymund FitzSimons scrisse per Ben Kingsley.
In scena, Alessio Bonaffini in un viscerale monologo per la regia di Adriana Mangano.
“Kean“, che lo scorso anno era stato proposto come Evento Speciale al Clan, conferma Bonaffini nella sua buona prova da attore ed un fortissimo impatto con il pubblico presente che saluta interprete e messa in scena con lunghissimi applausi e standing ovation. È il racconto di una carriera che faticò nel raggiungimento del suo apice, relegata alla giubba di Arlecchino quando i ruoli tragici venivano sempre affidati ad altri e l’impegno profuso, il tempo dedicato alla studio, alla memoria, all’espressività, non portavano buoni frutti. Poi la svolta che mise fine agli stenti di un decennio, il passaggio dalla notorietà alla fama: primo attore tragico assoluto del Drury Lane. A Kean, il merito di aver elevato la recitazione a linguaggio emozionale, scardinandola da una concezione strettamente classica, in opposizione allo stile di John Kemble.
Le scene presentano un’eleganza semplice e funzionale: due sedie rivolte frontalmente al pubblico ed un corredo di libri e di bottiglie già iniziate. L’intreccio che presenta lo schienale delle sedie si mantiene uguale a quello del telaio alle loro spalle, struttura chiamata a sorreggere i cambi d’abito che il protagonista si accingerà ad effettuare durante il monologo. I costumi sono eccellentemente curati da Liliana Pispisa e bene si adeguano all’insieme. Tra le scene ed il gioco di luci, con cui l’interprete mantiene un’interazione essenzialmente verticale, predominano le sfumature del verde. Ma la fonte-sintesi di tutti i colori, il primo richiamo visivo per lo spettatore, sono i rombi colorati di quella giubba della maschera di Bergamo, che è punto di partenza ma anche primo impedimento alla realizzazione di un talento puro.
Bonaffini giunge dinanzi alla platea quando le luci sono ancora accese come se per riferire di quella vita fosse necessario ancorarsi alla realtà per poi migrare tra le sue esperienze, raggiungendo le diverse postazioni segnate dalla regia di Adriana Mangano che convergeranno in una grande unica allucinazione. Così, se la narrazione esterna ai fatti trova principalmente espressione al centro ed in prossimità degli spettatori delle prime file che possono così incontrare lo sguardo e l’intensità del Bonaffini, le due sedie ne custodiscono interiorità e raccolgono confidenze, speranze e riflessioni del personaggio. Quel centro arretrato della scena, invece, costituisce l’ideale trono drammatico dei grandi personaggi shakespeariani che Kean immortala vestendone letteralmente i panni, dal Riccardo III al Macbeth, a Otello, a Shylock.
“Si sale su un palcoscenico per mentire, per fingersi”
Alessio Bonaffini interpreta generosamente l’attore britannico, raggiungendo il massimo della sua forza espressiva nei momenti in cui gioca con quel crescendo narrativo che, mano a mano, coinvolge tutto il suo essere fisico ed emotivo, muovendo la sensibilità e l’attenzione del pubblico. Protagonista di un finale intenso, si lascia trasfigurare dalle forti allucinazioni che si materializzano nella sua mente, come quella dell’amante Elena, oggetto dello scandalo che gli aveva stravolto vita e carriera o come l’immagine tenera e sbiadita del figlio Howard, spentosi molto giovane e malato. Lo scontro tra la “maledetta ambizione” e le necessità materiali di una vita normale e priva di stenti è vertice primario di riflessione come spiega Adriana Mangano nelle note di regia:
«Abbiamo provato ad individuare cosa, di Kean, ci interessasse raccontare ancora oggi e ci siamo imbattuti in quel conflitto che imperversa sulla vita di noi uomini contemporanei, figli di questi tempi: da un lato l’ambizione, il desiderio di raggiungere quel qualcosa che ci fa battere il cuore per il quale crediamo di essere trionfalmente predestinati, dall’altro la necessità di dover far fronte a quei reclami della vita quotidiana, alle incombenze che la società ci chiede di ottemperare per essere in qualche modo “giusti” per questo mondo, cioè un lavoro stabile, una famiglia da accudire, bollette da pagare, case da comprare. Abbiamo lavorato sul modo in cui questo conflitto interferisce su chi si trova a doverlo affrontare adoperando delle scelte, arrivando a quelle persone che, loro malgrado, si ritrovano a subire gli effetti di questa intima lotta (congiunti, amici), schiacciate tra speranza e rassegnazione. Certo, il percorso che porta alla risoluzione può essere lungo, dannatamente deprimente e oppressivo, ma quando se ne viene a capo, raggiungendo il proprio obiettivo, il soddisfacimento dei piaceri primordiali, la vita ha tutto un altro sapore. Sacrificare il proprio talento sull’altare del bisogno o reclamare in tutti i modi ciò che ci spetta? Questa la domanda che vogliamo lasciare al pubblico».
Al Clan Off, sesto appuntamento della Stagione teatrale 2018 -2019 #r-esistenze curata da Giovanni Maria Currò e Mauro Failla sarà “Il beniamino delle farfalle” di e con Norberto Presta – regia di Lambert Blum il 25 e 26 gennaio.
FotoInScena di Giuseppe Contarini